L' ADOZIONE DEL MAGGIORENNE



L'adozione di persone di maggiore d'età è disciplinata dal Libro I, Titolo VII, capo I e II del Codice Civile (artt. 291 e ss.)
à

-          "L'adozione è permessa alle persone che non hanno discendenti legittimi, che hanno compiuto gli anni trentacinque e che superano almeno di diciotto anni l'età di coloro che essi intendono adottare;

-          Quando eccezionali circostanze lo consigliano, il tribunale può autorizzare l'adozione se l'adottante ha raggiunto almeno l'età di trenta anni, ferma restando la differenza di età di cui al comma precedente."

 

(Con l'intervento della Corte costituzionale (sentenze n. 557 del 19/05/1988 e n. 245 del 20/07/2004) il contenuto precettivo dell'art. 291, cod. civ. è ora pressoché nullo, come si vedrà in seguito.)

 

FUNZIONE DELL'ISTITUTO

Trattasi di un istituto nato per consentire di avere discendenza a chi non l'avesse: l'interesse primario era dunque quello dell'adottante, che, privo di figli, intendesse trasmettere il patrimonio ed il nome ad un soggetto cui era affettivamente legato; oggi è diventato soprattutto uno strumento di assistenza solidaristica agli anziani privi di relazioni parentali ed è anche mezzo di conservazione del cognome per chi è privo di discendenti diretti, ma non solo.

La Corte Costituzionale (ord. Corte cost., 25 maggio 2003 n. 173) ha osservato che l'adozione di persone di maggiore età continua ad essere caratterizzata, in parte, dall'originaria finalità di procurare un figlio a chi non lo ha avuto naturalmente dal matrimonio (a differenza dell'adozione dei minorenni, la quale persegue il fine di garantire al minore il diritto a vivere, crescere ed essere educato in un ambiente familiare stabile e armonioso, in cui possa sviluppare la sua personalità in caso di inesistenza o inidoneità dei genitori biologici).

Tuttavia, l'adozione del maggiore d'età ha assunto, negli ultimi tempi, anche la funzione di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva ed identitaria, nonché di una storia personale, di adottante e adottando.

Il Tribunale di Prato (Trib. Prato, 10 luglio 2015 n. 2232) ha ammesso l'adozione di persona maggiorenne da parte della zia (sorella della madre) sul presupposto dell'avvenuto decesso del padre e di consenso della madre in un caso in cui l'adozione consentiva di rafforzare un legame giuridico e affettivo già presente con la predetta, con acquisizione dei conseguenti diritti successori. Lo stesso tribunale (Trib. Prato 11 gennaio 2012, NGCC, 2012, I, 529) ha affermato che non può essere pronunciata l'adozione di un maggiorenne quando tra chi chiede di adottare e l'adottando non intercorre alcun significativo legame affettivo e di consuetudine e in tutti i quei casi in cui si accerti che la richiesta di adozione è utilizzata esclusivamente per aggirare la vigente normativa sull'immigrazione. Per il Tribunale di Livorno (Trib. Livorno 7 aprile 2015 n. 3), nel disporre l'adozione occorre tener conto del beneficio per la parte adottanda che abbia già trascorso un lungo periodo di permanenza presso la famiglia adottante. Il Tribunale di Bari ha recentemente dichiarato che l'istituto dell'adozione del maggiorenne "viene utilizzato nella prassi anche per consentire il raggiungimento di funzioni nuove, come quella del consolidamento dell'unità familiare attraverso la formalizzazione di un rapporto affettivo e di accoglienza già sperimentato e concretamente vissuto" (Trib. Bari, sez. I, 15/09/2021 n. 23).

L'adozione del maggiorenne, consentita anche al singolo e determinata dal consenso dell'adottante e dell'adottato, non implica necessariamente l'instaurarsi o il permanere della convivenza familiare e non determina la soggezione alla potestà del genitore adottivo, che non assume l'obbligo di mantenere, istruire ed educare l'adottato, oltre a non far sorgere alcun rapporto tra l'adottato e i parenti dell'adottante né tra l'adottante e la famiglia dell'adottato.

La giurisprudenza di merito ha osservato che l'adozione di maggiorenne presuppone la verifica del requisito della convenienza che sussiste quando l'adottando trovi un'effettiva e reale rispondenza nella comunione di intenti dei richiedenti (Trib. Milano, I, 7 luglio 2018, n. 48); L'art. 312 c.c. stabilisce espressamente che il tribunale verifica "se l'adozione conviene all'adottando", espressione diversa da quella di cui si serve in tema di provvedimenti sui minori, per cui ci si riferisce all' <<interesse del minore>>.  La convenienza da verificare è riferita alla persona dell'adottato; ma l'adozione colloca costui all'interno di un nucleo familiare o nella cerchia di persone che possono risentirne effetti e la cui contrarietà può creare situazioni difficili per tutti, per cui non può sussistere se, per contro, gli interessati hanno espresso ostilità e dissenso.

MANCANZA DI DISCENDENTI (LEGITTIMI O LEGITTIMATI) E CONSENSO DEI FIGLI IN SITUAZIONI DI INCAPACITA'

L'adozione di maggiorenne era originariamente consentita solo qualora l'adottante non avesse discendenti legittimi o legittimati; la tradizione, infatti attribuiva all'adozione una funzione sostitutiva della paternità o maternità legittima, realizzata mediante la trasmissione del nome e del patrimonio.

Con sentenza 19 maggio 1988, n. 557, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 291 nella parte in cui non consentiva l'adozione alle persone aventi discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti. Il divieto di cui all'art. 219, alla luce della pronuncia costituzionale, non impediva dunque l'adozione ove fosse espresso un consenso dei figli maggiorenni, legittimi e legittimati; ne seguiva che non poteva procedersi all'adozione di maggiorenni, ad opera di chi aveva figli legittimi o legittimati, se i figli maggiorenni non erano consenzienti ovvero se vi erano figli minorenni, come tali, incapaci di prestare il proprio assenso. Tale pronuncia creava una disparità di situazioni tra la posizione del figlio naturale, del quale non era richiesto il consenso, a differenza di quanto era venuto a risultare con riferimento alla filiazione legittima o legittimata.

La Corte costituzionale, con sentenza 20 luglio 2004, n. 245, ha poi dichiarato l'illegittimità dell'art. 291 nella parte in cui non prevede che l'adozione di maggiorenni non possa essere pronunciata in presenza di figli naturali, riconosciuti dall'adottante, minorenni o, se maggiorenni, non consenzienti.

(La l. 10 dicembre 2012 n. 219, dispose, in seguito, che non poteva più distinguersi tra figli legittimi e figli naturali, dovendo costoro essere considerati come figli, indipendentemente dall'essere avvenuta la nascita fuori oppure entro il matrimonio; l'espressione <<figli legittimi>> è stata poi soppressa dal d. lgs 28 dicembre 2013, n. 154.)

 In merito al requisito del consenso, si pose la questione della compatibilità con la regola, così venuta a formarsi, delle situazioni di incapacità dei detti figli a manifestarlo.

La Corte costituzionale è intervenuta, con sentenza 20 luglio 1992, n. 345, sul punto, affermando che in presenza di una situazione di incapacità del figlio maggiorenne, perché interdetto, il tribunale può ugualmente far luogo all'adozione con le modalità previste dall'art. 297, secondo comma, c.c.; deve dunque ritenersi che la suddetta disposizione secondo il quale - quando, per incapacità dei figli l'assenso non può essere ottenuto, il tribunale, apprezzando gli interessi ivi indicati, può ugualmente pronunciare l'adozione – assuma un significato e contenuto generale e sia applicabile per analogia alla fattispecie in esame.

Per quanto attiene, invece, al caso in cui l'adottante abbia figli minorenni, anch'essi incapaci di esprimere un consenso, a causa della loro età insufficiente a legittimarli al compimento di negozi giuridici, la Cassazione si è pronunciata confermando che, ai sensi dell'art. 291 c.c., la loro presenza costituisce un impedimento alla richiesta di adozione di maggiorenne. Tuttavia, la Corte ammette l'adozione nel caso in cui il maggiorenne adottando sia già stabilmente inserito nel nucleo familiare ("ove suddetta adozione riguardi un soggetto, figlio del coniuge, che già appartenga, insieme al proprio genitore naturale ed ai fratelli minorenni, ex uno latere al contesto affettivo della famiglia di accoglienza dell'adottante, la detta presenza dei figli minori dell'adottante non preclude in assoluto l'adozione, fermo restando il potere-dovere del giudice del merito di procedere alla audizione personale di costoro, se aventi capacità di discernimento, e del loro curatore speciale, ai fini della formulazione del complessivo giudizio di convenienza nell'interesse dell'adottando, richiesto dall'art. 312, primo comma, numero 2, c.c. giacché tale convenienza in tanto sussiste in quando interesse dell'adottando trovi una effettiva e reale rispondenza – eventualmente da apprezzare all'esito dell'acquisizione anche delle opportune informazioni – nella comunione di intenti di tutti i membri della famiglia, compresi i figli dell'adottante", Cass. civ. n. 2426/2006) Sul punto si è pronunciata anche la giurisprudenza di merito: la Corte di appello di Milano si è dichiarata favorevole a consentire l'adozione in presenza di figli minorenni dell'adottante già inseriti nel nucleo familiare (App. Milano 9 novembre 2011); il Tribunale di Reggio Calabria ha affermato che, in caso di adozione del figlio maggiorenne del proprio coniuge, l'esistenza di altro figlio minorenne non costituisce ostacolo all'attivazione della procedura essendo risultato, nel caso di specie, che l'adottando era già inserito nella vita familiare dell'adottante e del coniuge.

ETA' DELL'ADOTTANTE E DIFFERENZA DI ETA' CON L'ADOTTANDO

L'art. 291 c.c. consente l'adozione di maggiorenne soltanto osservando un limite minimo di età nella persona dell'adottante e di una differenza di età fissata nel minimo tra la persona dell'adottante e quella dell'adottando: la norma stabilisce i suddetti limiti in trentacinque anni per l'adottante e in diciotto anni quanto alla differenza tra i due. (dunque, poiché l'adottato maggiorenne deve avere almeno diciotto anni, l'adottante di conseguenza non potrebbe avere una età inferiore ai trentasei anni, a pena di nullità). La suddetta disposizione consente, quando eccezionali circostanze lo consentono, al tribunale di autorizzare l'adozione in favore di chi ha compiuto almeno i trenta anni, ferma restando la differenza minima d'età prevista tra adottante e adottando.

È stata recentemente sollevata la questione relativa alla possibilità, per il giudice, di derogare alla differenza minima d'età tra adottante e adottato, richiesta ex lege, qualora tra essi sussista già una consolidata situazione familiare. La questione era sorta in seguito alla pronuncia con cui il Tribunale di Modena aveva rigettato la domanda proposta da un uomo, il quale voleva adottare la figlia maggiorenne della compagna convivente, orfana di padre e da lui cresciuta come una figlia. Il giudice aveva motivato la propria decisione, confermata dalla Corte di Appello di Bologna, sulla base dell'insussistenza della differenza minima d'età di diciotto anni tra adottante e adottato di cui all'art. 291 c.c. La Corte di Cassazione ha accolto il conseguente ricorso osservando come il requisito richiesto dalla suddetta norma costituisca un'evidente ingiusta limitazione e compressione dell'istituto dell'adozione di maggiorenni e che appaia in contrasto con l'art. 8 CEDU, interpretato, nella sua accezione più ampia, come principio che impone il rispetto della vita familiare e privata. (" in materia di adozione di maggiorenne, il giudice, nell'applicare la norma che contempla il divario minimo di età di diciotto anni tra l'adottante e l'adottato, deve procedere ad un'interpretazione costituzionalmente compatibile dell'art. 291 c.c., al fine di evitare il contrasto con l'art. 30 Cost., alla luce della sua lettura da parte della giurisprudenza costituzionale e in relazione all'art. 8 della Convenzione Europea per la Protezione di Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, adottando quindi una rivisitazione storico-sistematica dell'istituto, che, avuto riguardo alle circostanze del singolo caso in esami, consenta una ragionevole riduzione di tale divario di età al fine di tutelare le situazioni familiare consolidatesi da lungo tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris" - Sentenza di Cassazione, n. 7667/2020)

In una recente pronuncia, il Tribunale di Milano, in tema, ha affermato che il divario d'età di diciotto anni stabilito dall'art. 291 c.c. impedirebbe all'adottato di esercitare appieno i suoi inalienabili diritti alla formazione di un formale nucleo familiare (sulla base di una formazione sociale di fatto ormai consolidatasi nel tempo e caratterizzata da una affectio non dissimile da quella caratterizzante la famiglia fondata sul matrimonio), in contrasto con l'art. 2 Cost., nonchè con l'art. 3 Cost., per via dell'irragionevole disparità di trattamento tra l'adottato maggiorenne che abbia con l'adottante una differenza d'età non inferiore ai 18 anni e l'adottante che invece presenti una differenza d'età marginalmente inferiore al tetto legale.

 

DIRITTI DI SUCCESSIONE

Art. 304 à L'adozione non attribuisce all'adottante alcun diritto di successione;

I diritti dell'adottato nella successione dell'adottante sono regolati dalle norme contenute nel libro II (468, 536, 567).

Mentre l'adottante non acquista alcun diritto di carattere ereditario nei confronti dell'adottato (ma resta comunque salva la capacità di successione testamentaria per l'adottante istituito erede, purchè vengano rispettate le quote spettanti ad eventuali eredi legittimari dell'adottato), questi, consegue nei confronti del primo analoghi diritti successori previsti per i figli legittimi e naturali (536, 567). I discendenti del figlio adottato avranno la stessa posizione giuridica dei discendenti del figlio legittimo. Infatti, mentre da un lato il codice prevede, nei confronti dell'adottante, l'esclusione da ogni rapporto civile derivante dal vincolo di adozione in relazione unicamente alla famiglia di origine dell'adottato e non da quella da questi costituita (art 300 c.c.), dall'altro stabilisce in materia successoria la rappresentazione della linea retta a favore dei discendenti dei figli legittimi, legittimati e adottivi (468) (la sentenza 38 gennaio 1986, n. 13, la Corte costituzionale ha riconosciuto l'esistenza, ai fini della rappresentazione ereditaria, di un rapporto civilistico, tra adottante e discendenti dell'adottato , di rilievo equivalente a quello di parentela)

Dalle norme di cui sopra si desume, dunque, che il figlio adottivo viene equiparato, rispetto all'adottante, ai figli legittimi.


Avv. Cinzia Novelli



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